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PROFESSIONE MUSICISTA: ESSERE SE STESSI

L’altro giorno mentre ascoltavo in macchina un brano a cavallo fra il funk e il jazz, un amico (e stimato musicista) mi ha detto con tono scherzoso: “Ma perchè ascolti del Jazz se suoni sempre e solo del Rock?” La cosa mi ha fatto sorridere ma anche riflettere su un passato fatto di esperienze inaspettate.

Ho iniziato ad amare il basso elettrico ascoltando Jaco Pastorius e Marcus Miller, sebbene il mio primo approccio con lo strumento sia stato con brani e generi più alla mia portata. Da ragazzo suonando del Jazz o della Fusion mi dicevano che avevo un bel tiro “rock” anche se per loro non ero molto in stile. Per me non era affatto un complimento, lo vivevo come una mia incapacità di calarmi completamente in un genere che volevo suonare. Anni dopo mi sono trovato nella situazione opposta, per alcuni ero troppo “Jazz” per essere un vero bassista rock. In realtà non ero nè l’uno nè l’altro, sapevo dentro di me di essere più un bassista Soul/Funk ma ormai provavo un tale senso di insicurezza e inadeguatezza che non ero più sicuro neanche di quello.

Fu una semplice frase di Pee Wee Ellis a sbloccarmi (sassofonista di James Brown e coautore di Cold Sweat, I Feel good nonchè autore di The Chicken, il brano reso famoso da Pastorius e un po’ l’inno dei bassisti amanti di un certo genere).  Durante le prove, ogni tanto lui mi guardava con una espressione incomprensibile e ogni due secondi lo immaginavo dirmi: “Così non va bene, suona più appoggiato, fai meno note ecc…” Alla fine della prova invece mi sorrise e si complimentò  cosa che fece  in almeno un altro paio di occasioni durante il breve tour con lui.

Non siamo mai veramente inadeguati, sono spesso gli altri che ci fanno sentire così. Personalmente per la mia  indiscussa bontà d’animo e scarsa predisposizione a tirarmela,  sono stato spesso oggetto di consigli non richiesti e a volte inutili da parte di alcuni colleghi ai quali avrei potuto anche insegnare molto, ma non è mia abitudine dare consigli non richiesti. Tuttavia ho fatto tesoro dei consigli di tutti e mi sono solo di recente liberato di quel senso di inadeguatezza che mi portavo dietro da sempre arrivando a togliermi delle grandi soddisfazioni proprio in quelle cose in cui mi sentivo inadeguato. E ringrazio tutti quelli che in buona fede (alcuni) o che in malafede (altri, giusto per fare un po’ i “grandi”  pur sapendo di non essere affatto migliori di me) mi hanno riempito di consigli. Ho imparato tanto e ho capito che tipo di musicista sono e soprattutto ho imparato che ho dei limiti, che difficilmente si puó eccellere in tutto, ma che essere versatili e aperti mentalmente non è mai un limite ma un valore aggiunto. E alla fine di questo percorso ho capito l’importanza di essere il più personale possibile, di non aver paura di osare, di mettersi sempre al servizio della musica ma con il proprio modo e il proprio gusto personale, che piaccia o meno. E che nelle contaminazioni non c’è niente di male.  Ho capito soprattutto di essere Giorgio Santisi, e non quello che “ha suonato con” o “il bassista di”, un artigiano piuttosto che un operaio della musica.  E questo al di là delle belle collaborazioni che comunque ho avuto negli anni con alcuni artisti. Buona musica a tutti

 

LA MUSICA E’ FINITA…OPPURE NO

Qualche tempo fa ho fatto due chiacchiere con un turnista piuttosto affermato con il quale una sera mi sono trovato a condividere il palco e lui mi ha raccontato un episodio.

Mi ha raccontato di quando lui circa 15 anni fa si trovava in tour all’estero con una cantante piuttosto famosa e di quando, mentre lui e i suoi colleghi viaggiavano in una macchina molto lussuosa in direzione dell’Hotel di lusso a 5 stelle serviti e riveriti come delle Stars e pagati cifre oggi inimmaginabili, il batterista (famoso turnista anche lui) improvvisamente esclamò: “La musica è finita”.

I suoi colleghi risero di gusto pensando ad una battuta ma lui non stava scherzando, da lì a poco il Music Business si sarebbe profondamente modificato causando un crollo (almeno a livello italiano) della qualità delle produzioni e delle proposte artistiche e anche l’indotto musicale per i musicisti tutti sarebbe calato vertiginosamente. Personalmente non mi piace ciò che sento in radio, brani tutti uguali e “artisti” che durano una stagione. La musica che sento oggi non ha “dettagli”. Potete dirmi che sono antico e nostalgico e probabilmente avete ragione, ma il dettaglio è ciò che differenzia una produzione curata da una Low Cost (e probabilmente Low Quality). Ogni tanto per ricordarmi di questa cosa, ascolto The Nightfly di Donald Fagen che io considero fra i dischi immortali e la cui qualità e quantità di dettagli è così elevata che, anche dopo moltissimi ascolti, scopro qualcosa di nuovo. Ma il fatto che oggi non senta in radio qualcosa del genere non è del tutto indicativo. La musica che ci somministrano via radio è solo una parte piccolissima di ciò che c’è in giro e in molti casi la parte peggiore. Ho scoperto tanta musica buona grazie ai concerti Live e ho acquistato alcuni dischi di artisti tutt’altro che mainstream e che mai sentirò in radio. Così come dal vivo ho scoperto dei musicisti fantastici che per l’italiano medio sono visti come delle nullità solo perchè non suonano o non hanno suonato con “Tizio” o “Caio”. Per noi musicisti, il live è una grande occasione per fare “Resistenza” sul territorio, per dimostrare che la musica buona esiste ancora e sta a noi portarla in giro nonostante le difficoltà. Ognuno di noi può dare il suo piccolo contributo per far cambiare le cose e deve farlo sapendo che il nemico è più forte (se no non si chiamerebbe Resistenza). E può farlo solo lavorando sulla qualità di ciò che propone sia come musicista che eventualmente come autore e/o arrangiatore, sapendo che la qualità ha un costo elevato e un ritorno bassissimo soprattutto nel breve periodo. Ma deve farlo con la consapevolezza che se non difenderà la qualità a costo di grandi sacrifici e rinunce, allora la musica presto finirà davvero. Buona Musica a tutti finchè ce la lasceranno fare.

Bentornato Giorgiosantisi.com

Non so dire se nel 2018 abbia ancora senso possedere un sito personale, ma ne ha per me.  Ne ha per due ragioni, la prima è che questo dominio mi era stato sottratto (dopo un mancato rinnovo)  da una fantomatica società orientale che usava il mio nome per vendere erbe e pillole magiche dai poteri afrodisiaci.  Ne sono stato ovviamente onorato ma mi sono sentito derubato e ho dovuto attendere due anni per riprendermi ciò che è mio, il mio nome…scusate se è poco.

L‘altra ragione è che sento il bisogno di avere un piccolo spazio che sia veramente mio e non sia invece un calderone.  Un posto dove nessuno possa contestare, segnalare o deridere i miei pensieri o cliccare “mi piace” senza neanche leggere. E spero sinceramente che questo diventi un posto dove le persone che mi stimano o che dicono di farlo, inizino seriamente a seguirmi.  Non conosco la piattaforma wordpress, pian piano ci prenderò confidenza e inserirò contenuti. Ogni suggerimento in materia è ben accetto, il sito si apre ufficialmente oggi